Anche i giudici piegati alla ragion di Stato?

Il Fatto 18 mar 2016

di Antonio Ingroia – da Il Fatto Quotidiano del 18/03/2016

Avanza inesorabile il processo di omologazione che sta impoverendo l’Italia, trasformandola in un Paese in cui l’utile di pochi viene sistematicamente anteposto all’i nt eresse generale, in cui la verità è troppo spesso sacrificata sull’altare della ragion di Stato.Non è una novità, ma l’elemento nuovo e preoccupante è che questa deriva si sta diffondendo anche nella magistratura. Ultimo esempio, l’opposizione di larga parte dell’Anm all’elezione di Piercamillo Davigo alla presidenza dell’associazione. Motivo, come ha scritto ieri sul Fatto Antonella Mascali, la sua eccessiva “intransigenza”.
In Costituzione sta scritto che “la giustizia è amministrata in nome del popolo” e che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Ma è ancora così, dopo una miracolosa stagione, durata poco più di un ventennio? Ovvero il virus del conformismo ha contagiato in profondo un organismo, sempre più subalterno alla politica, specie quando entra in ballo la Ragion di Stato?
Sembrano lontani i tempi in cui gli uffici giudiziari sfidavano la ragion di Stato in nome della verità e della giustizia, fino al punto di bussare alle porte del Quirinale perché chiarezza fosse fatta sulla stagione delle stragi, affrontando perfino conflitti istituzionali con la più alta carica dello Stato. Come se l’esito di quel conflitto d’attribuzione, invece di stimolare una più corretta separazione dei poteri, avesse imposto la ritirata in favore del presunto “primato della politica”.
Oggi, nella sostanziale indifferenza di un’informazione, per lo più omologata perché più attenta ad ossequiare il potere che a denunciarne le distorsioni, anche la magistratura sembra accettare di buon grado di fare passi indietro, riconoscendosi un ruolo subalterno, lasciando che la realpolitik prevalga. Penso al caso Regeni: sembra che finalmente la Procura di Roma possa indagare con gli inquirenti egiziani, per individuare – si spera – esecutori e mandanti dell’omicidio.
C’è voluto però un mese e mezzo perché si arrivasse a questa svolta, un mese e mezzo in cui l’Egitto ci ha preso in giro, ha depistato, ha provato a insabbiare, ha confezionato falsità. Un mese e mezzo perso, danni per le indagini, perché al Sisi è considerato da Renzi un alleato strategico. La ragion di Stato prima di tutto. E la magistratura non ha avuto la forza di andare oltre. Possibile che non si potesse fare prima?
Altro scenario, altra brutta storia: i quattro italiani sequestrati in Libia nel luglio 2015, due dei quali, Fausto Piano e Salvatore Failla, uccisi in circostanze tutte da chiarire. Troppe le zone d’ombra, le reticenze, le contraddizioni in una vicenda in cui è evidente la mano dei servizi e da cui l’Italia esce malissimo, con due ostaggi morti e senza una versione ufficiale.
Di fronte a un non Stato qual è oggi la Libia, il nostro governo si è dimostrato debole, permettendo che sui corpi di Failla e Piano venisse effettuato uno scempio, impropriamente definito autopsia, servito solo a rendere impossibile l’identificazione dell’arma usata, la distanza da cui sono stati sparati i colpi e le traiettorie dei proiettili, cioè la ricostruzione della dinamica dei fatti. Restano la rabbia e la disperazione della famiglia di Failla, la loro accusa di essere stati abbandonati, e troppe domande senza risposta che può dare solo la magistratura.
A patto di andare oltre la ragion di Stato, se necessario. Senza piegarsi a compromessi. Né è accettabile che un pm nell’aula del processo Capaci-bis, come ha fatto a Caltanissetta il pm Onelio Dodero durante la sua requisitoria, ridicolizzi la tesi dei “mandanti esterni” alla mafia nella strage in cui perse la vita Giovanni Falcone, citando la Spectre e Paperinik.
Forse pensava di essere spiritoso, sicuramente è stato inopportuno, fuori luogo, irrispettoso del lavoro dello stesso Falcone, che chiamò spesso in causa le “menti raffinatissime” che hanno tragicamente interagito con la mafia. In questo contesto, non basta sostenere i pochi magistrati che resistono alla deriva dell’omologazione.
Per supportare quel fronte ancora ampio dell’opinione pubblica che pretende la verità a ogni costo occorre, invece, una riforma legislativa che assicuri poteri e facoltà alle vittime dei reati ed ai loro legali, oggi esclusi dalla conoscenza e dal controllo delle indagini dagli organi inquirenti, tenuti alla larga dal segreto investigativo, esattamente come gli indagati, mentre le ragioni delle vittime dovrebbero essere diversamente salvaguardate.
Anche per difenderle dalle sopraffazioni della ragion di Stato. Solo così potrebbero crearsi pool investigativi autonomi dalla politica e dalle sue ragioni, e che agiscano solo in nome della Legge, della Verità e della Giustizia. Solo così si potrebbe alimentare una pressione costante dell’opinione pubblica nazionale e internazionale che solleciti la magistratura italiana a scoprire la verità e a fare giustizia. Vincendo, se necessario, anche l’insopportabile ragion di Stato.

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