Caso Regeni, la procura di Roma esiga di svolgere direttamente le indagini anche in Egitto e il governo la appoggi

Il Fatto 3 apr. 2016

di Antonio Ingroia – da Il Fatto quotidiano del 03/04/2016

La verità sul caso Regeni non può accettare le “mani legate” a cui sembra rassegnarsi la stampa italiana, a partire dal Corriere della Sera. E non è accettabile che il nostro Paese, in nome della ragion di Stato per motivi di equilibrio internazionale, continui a farsi prendere in giro dal regime egiziano sull’omicidio di un suo cittadino, un ragazzo sequestrato, torturato e ucciso, senza che dopo più di due mesi ci sia stata una concreta dimostrazione di voler trovare i veri colpevoli. Chi dice che è stato fatto tutto il possibile sbaglia, legittima solo l’indegna melina con cui il Cairo sta giocando la sua partita. Non c’è solo la ragion di Stato, sul cui altare sono state finora sacrificate verità e giustizia, in questa penosa vicenda. Ci sono anche troppe bugie di Stato. Le infami bugie dell’Egitto, che in questi due mesi ha confezionato solo ricostruzioni inverosimili e oltraggiose, con dei falsi tanto evidenti da sconfinare persino nel ridicolo, senza mai collaborare davvero, senza fornire un solo elemento di verità e trasparenza. Solo depistaggi, insabbiamenti, impegni non mantenuti per mascherare un chiaro delitto politico di Stato, che chiama in causa direttamente il regime di Al Sisi. Ma c’è anche l’insopportabile bugia di Stato italiana che vuole far credere che siano state intraprese tutte le iniziative possibili per arrivare ai veri colpevoli dell’omicidio. Non è vero, come sostengono invece Giuliano Ferrara e tanti altri, che “le autorità italiane hanno reagito come potevano e dovevano”. E’ vero invece che l’Italia avrebbe potuto e dovuto, e può ancora, fare molto di più, perché è evidente che dare credito all’Egitto non porta da nessuna parte. Credere o voler credere che il Cairo avrebbe dato collaborazione è stato un errore clamoroso. Solo un potere autonomo e indipendente può indagare su un delitto di Stato. E gli inquirenti egiziani non lo sono. Se davvero si vuole arrivare alla verità, come giustamente pretendono i genitori di Giulio, ci sono due strumenti da utilizzare. Il primo è giudiziario: la procura di Roma esiga di svolgere direttamente le indagini, anche in Egitto. La legge italiana lo consente se il Governo la appoggia. Avanzi una formale richiesta di rogatoria alle autorità egiziane, con richiesta di indagare in proprio, eseguendo direttamente in Egitto tutte le indagini necessarie, da quelle tecniche, alle audizioni di testimoni e sospetti. Così fanno i Paesi forti, penso agli Stati Uniti che, quando propri cittadini sono coinvolti in gravi vicende giudiziarie, non si accontentano della collaborazione delle autorità locali, ma rivendicano il diritto a svolgere indagini in proprio anche in territorio estero.

Il secondo strumento è politico: il governo, attraverso il ministro della Giustizia, chieda al Cairo che la richiesta della procura sia accolta. Se la risposta fosse negativa, allora proceda con gli atti consequenziali. Sarebbe la riprova che l’Egitto copre un delitto politico di Stato ed andrebbe quindi denunciato alle Nazioni Unite, chiedendo che venga nominata una commissione d’inchiesta internazionale, vista la totale inaffidabilità delle autorità locali ed il rifiuto di acconsentire l’indagine diretta da parte delle autorità italiane. 

Insomma, se si vuole la verità la si può pretendere. E spiace sentir dire da Luigi Manconi, che pure tanto si sta battendo, che i margini dell’azione penale italiana sono strettissimi. Non è così. Bisogna arrivare ai colpevoli e si può fare. Anche perché già li conosciamo. Sono assassini di Stato di quello stesso Stato che li coprirà sempre. Occorre pretendere a tutti i costi, perché si arrivi alla Verità e sia fatta Giustizia, che indaghino autorità estranee allo Stato colpevole. Possono essere solo italiane o internazionali. Lo dobbiamo a Giulio, lo dobbiamo alla sua famiglia.

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