La mafia non è una soltanto. Ci sono tante mafie e ognuna di esse non è mai la stessa, perché è proprio delle mafie sapersi adattare ai luoghi, ai tempi, alle situazioni. La stessa Cosa Nostra siciliana è molto diversa dall’organizzazione criminale del secolo scorso, quella contro cui si sono battuti, pagando anche con la vita, uomini e magistrati straordinari come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri. Come ho detto all’incontro tra magistrati, procuratori e giudici di diversi Paesi, organizzato in Vaticano il 3 e 4 giugno 2016 dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali sul problema della tratta e degli altri crimini ad essa collegati, oggi più che mai la mafia è un fenomeno internazionale e come tale va affrontato, cercando dunque una sinergia globale che vada oltre le barriere nazionali, mettendo i governanti del mondo davanti alla responsabilità che ciascuno di loro ha di fronte ai propri popoli ed alla popolazione mondiale.
Posso dire di conoscere il fenomeno mafioso a fondo, per il lavoro che ho svolto come pm antimafia in Sicilia nei miei 25 anni in magistratura, avendo avuto tra l’altro la fortuna di avere come maestri prima e come colleghi poi due grandi magistrati quali Falcone e Borsellino. Anni in cui Cosa Nostra è stata duramente colpita, basti pensare al Maxiprocesso di Palermo, ed ha duramente colpito, basti pensare alla stagione terribile delle stragi, cui è però seguita la reazione fortissima di Stato (soprattutto della magistratura) e società civile con risultati impensabili e straordinari, quelli della “nuova primavera siciliana”, della rivolta dell’Italia della legalità. Oggi la mafia, soprattutto la mafia siciliana, è fortemente ridimensionata e ha dovuto rinunciare, probabilmente per sempre, allo scontro frontale con lo Stato. Ma sono cresciute altre mafie, in particolare quelle che si sono dedicate di più agli affari, rinunciando allo scontro frontale con lo Stato, adottando strategie più subdole di convivenza e connivenza, spesso attraverso la corruzione e l’intreccio fra economia illecita con quella legale. Favorendo così ed incontrando una certa maggiore tolleranza, tolleranza politica, economica e culturale.
La mafia non ha vinto la sua guerra ma neppure l’hanno vinta del tutto le persone oneste, perché le mafie ci sono ancora, e non solo in Italia, in un processo di globalizzazione dell’economia mafiosa che invade sempre nuovi mercati, nuovi settori di arricchimento, nuove forme di schiavitù, si pensi alla tratta di esseri umani, al traffico di organi, allo sfruttamento criminale dei flussi migratori. E’ ancora ben lontano purtroppo, in Italia e nel mondo, il momento in cui possa trasformarsi in realtà una delle più famose affermazioni di Giovanni Falcone: “La mafia è un fenomeno umano ed in quanto tale ha avuto un suo inizio ed avrà una sua fine”.
Cosa manca per fare l’ultimo passo in avanti? Due cose io vedo indispensabili per cambiare verso, per non rassegnarsi alla convivenza con la peggiore schiavitù moderna che è quella delle organizzazioni criminali che tengono in scacco intere comunità nazionali in varie parti del mondo. In primo luogo, la totale ed effettiva indipendenza del potere giudiziario dal potere politico, in tutte le sue articolazioni: se il potere giudiziario è in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente, subordinato al potere politico ci sono poche speranze che possa verificarsi la profezia di Falcone. In secondo luogo occorre che la magistratura, spesso accusata di fare politica solo perché si oppone alla cattiva politica, faccia invece politica. Qui mi aggancio a una frase di Papa Francesco che mi ha colpito molto: “Non è vero che la Chiesa non deve fare politica, la Chiesa deve fare politica, ma deve mettersi nella grande politica perché la politica è una delle forme più alte della carità”. Ebbene, allo stesso modo la magistratura deve fare alta politica, grande politica, come dice Papa Francesco per la Chiesa. E fare grande politica significa pretendere che la politica supporti e non ostacoli la magistratura e ne garantisca autonomia e indipendenza, invece di limitarla. Fare grande politica attraverso la Giustizia significa applicare la legge facendo Giustizia, e quindi proteggendo i più deboli e applicando la legge nei confronti di tutti, senza distinzioni anche nei confronti dei potenti, anche se fossero Capi di Stato se necessario. E fare grande politica significa chiedere ai governanti del mondo, esigere da loro, di prendere posizione ed emanare leggi che proteggano i più deboli innocenti e puniscano i colpevoli, anche se potenti.
E’ una grande sfida, una sfida globale, e proprio perciò occorrono iniziative globali perché le iniziative soltanto nazionali sono insufficienti. Una criminalità transnazionale dedita ai traffici internazionali non può essere contrastata con strumenti nazionali. Un sistema di potere mafioso sempre più internazionale può essere fronteggiato soltanto con un movimento antimafia internazionale, che si traduca in iniziative internazionali per ottenere dalle Istituzioni politiche nazionali ed internazionali precisi impegni ed atti concreti. Un’antimafia internazionale che, prima ancora che istituzionale, sia etica e sociale. Ecco perché sono convinto che l’avverarsi della profezia di Falcone (la mafia come fenomeno umano ha avuto inizio ed avrà una fine) dipende da tutti noi, perché – pur in un contesto internazionale così complesso – ognuno di noi può avere un ruolo ed ha una responsabilità. La fine della mafia dipende da ciascuno di noi, cittadini del mondo.
Lascia un commento